Cugini, complici. Prima parte.

Cugini, complici. Prima parte.
Siamo cresciuti insieme, mio cugino e io, e abbiamo avuto almeno fino all’adolescenza quell’affiatamento che solo la lunga consuetudine può dare. I lunghi pomeriggi e le infinite estati passate insieme a giocare in cortile, gli ancora più tediosi inverni davanti ai cartoni animati, spalla contro spalla. Non è lontano dal vero dire che pensavamo e fantasticavamo con una mente sola.
Condividere e cercare di dare un senso ai primi turbamenti carnali, confidare interrogandosi l’un l’altro lo straniamento per la strana, intensa, quasi dolorosa sensazione provata nel toccarsi involontariamente tra le gambe, è stato un passaggio naturale.

Avevamo scoperto, ciascuno per conto proprio ma esattamente nello stesso periodo, il rapporto di causa ed effetto che faceva seguire alla manipolazione e allo strofinamento degli organi genitali un piacere diverso da qualsiasi altro mai sperimentato fino ad allora. Per qualche tempo custodimmo gelosamente questa scoperta, coltivando in solitudine quel nuovo e bellissimo vizio.
L’incredulità e il desiderio di condividere la scoperta con altri, e la frenesia di conoscere ed esplorare altri corpi che il nostro, ci sputarono fuori dall’infanzia con la stessa repentina violenza con cui un fiotto di sperma risale i corpi cavernosi ed esplode rabbioso in un getto denso e caldo.

Il primo passo fu mio, e ricordo la gioia nello scoprire che mio cugino condivideva la mia stessa curiosità. Non ho memoria di come passammo dal racconto all’azione; ma ricordo che non ci lasciammo in pace per i due anni successivi, da quando tremante mi infilai sotto i suoi calzoncini per afferrargli il cazzo e presi la sua mano per metterla sul mio, anni che furono scanditi dall’attesa trepida di una minima occasione per restare soli.
La benedizione più grande di quell’età è l’assenza delle forzose gabbie mentali imposte dalla vita adulta, la distinzione binaria tra etero e omosessualità, uomo e donna. Eravamo spensieratamente pansessuali e amorali, la scoperta era ciò che importava.

Cantine, garage sfitti, androni di case disabitate e scuole deserte per le vacanze, e in pratica qualsiasi luogo poco frequentato ma non abbastanza da non correre il rischio di essere scoperti, dai nostri genitori o da estranei; ciò che contribuiva ad accrescere spasmodicamente la nostra eccitazione.
La casa della nostra balia era però la nostra alcova d’elezione, forse perché il luogo più frequentemente disponibile. Attendevamo che lei uscisse per qualche commissione, fingendo indifferenza ma scrutandoci con anticipazione, i cazzi già gonfi che pulsavano contro i jeans. Senza darci quasi il tempo di sentire la porta chiudersi ci ritrovavavamo a strapparci i vestiti a vicenda, per finire sul divano avvinghiati in un corpo solo, con le nerchie finalmente libere premute furiosamente una contro l’altra, e le mani ansiose di scoprire che tutto il corpo è un’unica zona erogena.
Le natiche sode strette in una presa di ferro o allargate per accogliere lo strofinamento dell’altro, le bocche inesperte e umide che si scambiavano lingue e umori, lasciavamo sui nostri corpi le prime sborrate, chiedendoci cosa poi fosse quel liquido denso che accompagnava l’orgasmo.
Domanda ancora senza risposta ma fonte di rinnovata foia, poiché dopo esserci venuti addosso ci trasferivamo nel bagno, luogo in sé eccitante in quanto testimone già da tempo dei nostri pluriquotidiani sfoghi solitari.
Sotto la doccia ci esploravamo senza misericordia, avendo cura soprattutto del massaggio e della ripulitura accurata dei membri, che inesausti ancora sbandieravano uno contro l’altro. E dopo una di innumerevoli docce ci regalammo il primo pompino.

Il passaggio fu anche questa volta naturale. Già da qualche tempo ero affascinato dalla forma del suo uccello e ancor più della sua cappella. Non lungo ma tozzo e cicciotto, con un diametro notevole ma quasi piatto, il mio più slanciato ma più snello e circolare. Non esattamente bello a vedersi, il suo, ma dritto come un tubo e quasi ipnotico e incredibilmente arrapante da accarezzare e spremere, e sentirlo inturgidirsi nella mano, con la cappella che sgusciava fuori all’improvviso come un cobra dall’erba.
Avevamo l’abitudine, a conclusione del rito, di baciarci i cazzi ormai quasi a riposo, ma la cosa si prolungava spesso oltre il dovuto, e la bramosia di prolungare il gioco e vederlo di nuovo duro, e che fosse la mia bocca a farlo diventare nuovamente duro, ruppero gli indugi.
Ancora, il primo passo fu mio. Se proprio dovessi parlare di ruoli, definirei mio cugino più attivo, ma piuttosto impacciato. Fu così che, con qualche timore e un’erezione da primato, socchiusi le labbra e lo accolsi in bocca. Senza alcuna esperienza cominciai a farlo penetrare e uscire, su e giù su quel salsicciotto di carne che tra le mani non era sembrato mai così grosso. Avevo la bocca così piena che temevo di soffocare, e per riprendere fiato senza fermare la corsa lo avvolgevo con la mano masturbandolo con lentezza e stuzzicandolo per quanto era lungo con voraci colpi di lingua.

Accogliemmo entusiasti il pompino nei nostri giochi, affinando come certosini la tecnica per prolungare il piacere il più a lungo possibile.
“Ti piace, eh?” – mi chiese una volta, seduto sul cesso con il cazzo enorme che mi scopava in bocca con foga, le mie labbra sul suo scroto, entrambi completamente nudi. La domanda fu inaspettata e mi colse di sorpresa, come il brivido che scosse tutto il suo corpo mentre mi sborrava in gola, un unico lungo schizzo deciso e dolciastro.
Quasi in trance mi alzai, gli afferrai la mano e la strinsi sul mio uccello, aiutandolo a segarmi senza pietà. Esplosi un getto violento sotto il suo sterno, e vidi il rivolo che colava rapido sull’inguine. Finimmo in una risata isterica e liberatoria; mi chinai lentamente su di lui, risalii fino ai capezzoli per ripulirlo dal mio sperma, ridiscesi e sostenendogli con la mano le palle grosse e sode cinsi con le labbra la cappella ampia e ancora pulsante. Risucchiai con voracità fino all’ultima goccia, e ingoiai.
Sì, mi piaceva da morire, ammisi più tardi masturbandomi al solo pensiero. Anche a lui succhiare il mio, scoprii presto.

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