Le mie storie (13)
Credo che avessi appena superato la soglia dei trent’anni, la delusione per la mia prima storia d’amore finita male era ancora fortissima nonostante fosse passato quasi 1 anno, di sesso neanche a parlarne lontanamente. Ero immersa totalmente nel lavoro anche se neanche questo sembrava appagarmi (per la verità non mi appaga tuttora). Il mio “principale” mi chiama e mi dice che per le 3 settimane successive avrei dovuto seguire una “cosa” (resto generica volutamente perché non mi va di dirvi che il lavoro faccio) fuori Napoli, in provincia di Benevento ed insieme a me, mi avrebbe dato una mano un collega di un altro ufficio. Appena disse il suo nome io sorrisi, lo conoscevo soprattutto di fama. Per quanto Napoli possa essere 1 grande città, in realtà è molto piccola e le persone si conoscono tutte alla fine anche perché si frequentano sempre gli stessi posti. Con lui ci si conosceva di vista, giusto il classico saluto di circostanza, anche se aveva una fama di sciupa femmine. Ricordo ancora quando la sera dissi alle mie amiche che avrei avuto a che fare con lui per questioni di lavoro per un po’ di tempo, loro si s**tenarono nei commenti più coloriti. Mi raccontarono di tutto di più sul suo conto, mi dissero di tenermi alla larga soprattutto dato il periodo che stavo passando, mi raccontarono delle storie di amiche o addirittura di amiche di amiche che erano state, a loro dire, usate e gettate da lui. Io ero tranquilla, tutti questi avvertimenti non mi facevano assolutamente niente, soprattutto perché era lontanissimo dalla sottoscritta l’idea di imbarcarsi in storie improbabili, ed ancor di meno in avventure. Oltre tutto a me i cosiddetti playboy non ne erano né mi sono tuttora mai piaciuti. Non mi piace chi se la tira, anche perché a dire proprio la verità, quel tipo di ragazzi non è che sia mai stato attratto da quelle come me, in genere si fanno accompagnare da ragazze molto appariscenti, tutto ciò che non sono io.
Così quella mattina ci demmo appuntamento in 1 piazza, io naturalmente ero vestita “da lavoro” cioè con il tailleurs di ordinanza blu, 1 camicetta bianca. Ci salutammo e partimmo per la destinazione. Dopo i classici convenevoli, il discorso si spostò sul lavoro che avremmo dovuto fare. Lui era molto attento e scrupoloso, nonostante io fossi comunque piuttosto sospettosa (date le premesse che mi avevano fatto le mie amiche) nei suoi riguardi. Per la verità subito mi sembrò 1 tipo alla mano, sicuro di sé, dall’aspetto senza dubbio piacevole, brillante e simpatico. Dopo aver fatto il nostro dovere, prima di tornare ci fermammo ad 1 ristorante e lui senza neanche farsene accorgere mi offrì 1 ottimo pranzo. Sulla via di ritorno entrammo un po’ in confidenza, e naturalmente non mi lasciai sfuggire l’occasione di dirgli ciò che si raccontava sul suo conto. Ascoltate le mie parole insieme agli aneddoti delle mie amiche, si lasciò andare ad enormi risate. Mi disse che sapeva di questa sorta di leggenda su di lui, ma che niente fosse più lontano dal vero. Mi raccontò che era stato fidanzatissimo per 5 anni ed anche lui era stato lasciato malamente. Dopo un po’ di tempo quasi sull’orlo della depressione, aveva cominciato a divertirsi ma senza assolutamente “usare” nessuna perché lontanissimo dal suo modo di essere e di pensare. In più mi raccontò anche che alcune delle storie che gli erano state attribuite, erano totalmente inventate.
Io sinceramente non faticai a credergli. Rispetto all’idea che mi ero fatta di lui, la realtà era completamente diversa. Nonostante fosse oggettivamente 1 bel ragazzo, non se la tirava per niente anzi mi diceva che da piccolo aveva avuto anche problemi a rimorchiare. Effettivamente del playboy non è che avesse granché oltre all’aspetto estetico. Queste idee le tenni per me e non le condivisi con le mie amiche, perché sicuramente avrebbero avuto da ridire.
Si instaurò 1 rapporto di simpatia reciproca e la mia stima lavorativa verso di lui cresceva di giorno in giorno. Non so se fosse la terza o quarta volta che andavamo in trasferta, ma come al solito tutto sembrava scorrere tranquillamente. Dopo il solito pranzo (sempre offerto da lui) risalimmo in macchina ed io evidentemente cercai di rilassarmi sulla via di ritorno. Giuro che non mi resi conto di cosa né come fosse potuto accadere, ma quel giorno evidentemente a causa di un accavallo di troppo la gonna salí su più del dovuto lasciando intravedere non poco le autoreggenti. Lui in maniera molto simpatica ricordo che mi fece presente di ricompormi, io lì per lì non capii a cosa si stesse riferendo. Così lui cominciò a giocare simpaticamente con le parole, dicendomi che se continuavo a stare seduta così avremmo rischiato 1 frontale. Poi, quando capì che io davvero non mi ero resa conto della situazione, mi disse che si era eccitato e non era colpa sua. Finalmente vidi che la gonna era salita davvero troppo, la abbassai subito e ridendo gli dissi che non credevo a ciò che mi aveva detto. Lui allora mi provocò dicendo di “toccare con mano” (non in maniera volgare ma sempre scherzosa), io naturalmente non me lo feci dire 2 volte e mentre guidava appoggiai la mano sul suo pantalone. Lo guardai e capii subito che aveva ragione. Mi sorrise ed io sempre scherzando gli feci una carezza sul pacco. Insomma tra 1 serie di battute le mie carezze si fecero più insistenti. Così fermò la macchina ed a quel punto non potevo più tirarmi indietro. Gli aprii la cerniera e gli feci una sega. Dopo tempo immemorabile avevo avuto di nuovo 1 contatto con il sesso opposto. Mi pulii la mano, vidi che lui era stato soddisfatto e tornammo a casa quasi come se nulla fosse accaduto. Ricordo ancora che quel suo “accontentarsi” senza provarci assolutamente, aveva fatto s**turire in me 1 sorta d’interesse maggiore. Mi piaceva lui, mi piaceva come si era comportato. Così quando ci rivedemmo qualche giorno dopo ero incuriosita da cosa sarebbe potuto accadere. Il viaggio di andata fu condito da classiche battute, un po’ a doppio senso, ma mai volgari. Lui come d’altra parte la maggior parte degli uomini con i quali avuto a che fare, mi prendeva in giro per il seno grosso. Finito il lavoro, finito il pranzo, in macchina questa volta di proposito feci salire su la gonna per vedere cosa avrebbe fatto. Io facevo finta di niente ma dopo poco mi ritrovai la sua mano sulla coscia. Mi girai verso di lui e ricordo ancora che mi disse che il fatto di essere 1 bravo ragazzo non voleva dire che era stupido. Prese 1 uscita sconosciuta ed in breve ci ritrovammo in mezzo a 1 campagna sterminata. Mi fece sedere sopra di lui, tirò fuori dal cassetto dell’auto i preservativi (sui quali già avevamo scherzato in precedenza) e cominciammo a scopare. Avevo dimenticato la sensazione che si provava, non lo facevo da mesi e mesi tanto che venni quasi subito. Nonostante questo continuai a muovermi sopra di lui mentre lui con le mani giocava con le mie tettone magnificandone la grandezza. Mai scopata fu più liberatoria di quella. Alla fine fui io a ringraziarlo per avermi per così dire riportata alla vita.
La volta dopo (che ricordo fu l’ultima trasferta), naturalmente entrambi avevamo voglia di farlo ed entrambi ci dicevamo che bisognava concludere in fretta il lavoro. Ricordo ancora che pranzammo alla velocità della luce ed io dopo essere andata in bagno, mi tolsi le mutandine e le misi in borsa. Quella volta però non gli diedi la schiena, ma ci mettemmo comodamente indietro. Ricordo che fece 1 cosa che non mi era mai successa prima di allora, mentre ero a pecorina, mi infilò 1 dito nel sedere e cominciò a muoverlo insieme al suo uccello nella mia fica. Ricordo che quel pomeriggio ero talmente eccitata che prima che lui venisse gli tolsi il preservativo e gli feci 1 bocchino che me lo ricordo ancora io, ma credo che lo ricordi anche lui.
Ci vedemmo qualche altra volta, ma in maniera fugace. Poi inevitabilmente ognuno tornò alla sua vita. Ancora oggi gli riconosco il grande merito di avermi fatto uscire dal tunnel della tristezza in cui mi ero ficcata purtroppo